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  • Immagine del redattoreCarlotta Pizzi

Restare fermi. Breve storia della paura contemporanea.

“La paura è il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo. Sono l’insicurezza del presente e l’incertezza del futuro a covare e alimentare la più spaventosa e meno sopportabile delle nostre paure” (Zygmunt Bauman).





Ho letto "Il Demone della Paura" diversi anni fa, quando il dibattito sulle società aperte era nel pieno della sua vivacità. In una fase di piena globalizzazione dove sempre più l’apertura considerata fino ad allora un fenomeno sociale positivo cominciava ad assumere aspetti minacciosi e controversi.


Bauman individuava nella rigidità mentale delle nostre paure l'origine della perdita di sicurezza sociale. I confini, la difesa personale, il terrorismo, la crisi economica, e oggi anche la pandemia, che ha provocato una sorta di accelerazione dell'ansia.


Questi incubi sono figli nella percezione comune della globalizzazione, che rende impossibile gestire la sicurezza in un solo stato o in una comunità soltanto perché tutti i fattori in gioco sono dipendenti da ciò che avviene nel resto del mondo.


La sensazione è quella di vivere in “un mondo a tempo determinato” – come dice Guerrera - immersi in uno stato permanente di incertezza che mina le fondamenta del nostro agire.


Cosa può insegnarci questo sentimento di vulnerabilità? Riprendendo le parole di Bauman "in un pianeta globalizzato, universalmente interdipendente, qualsiasi negazione dei diritti umani degli altri rende i diritti umani di tutti fragili e incerti, e aggiunge ulteriore insicurezza. La sicurezza, infatti, non può essere conquistata e assicurata in un angolo del pianeta separato dal resto del mondo".

Lo stiamo sperimentando profondamente. La nostra stessa salute, la nostra vita dipende concretamente da quella degli altri. E solo riconoscendo le reciproche fragilità, e quindi i reciproci bisogni, potremo uscire dalla zona d'ombra, dal pericolo.


La vulnerabilità è un valore, e lo abbiamo negato per troppo tempo, puntando sull'efficienza e l'efficacia del super uomo. Invece è questa la via necessaria per comprendere l'altro e risolvere la paura. Ammettere di essere imprecisi, imperfetti e incompleti.

Questo ci rende tolleranti e flessibili davanti alla precarietà dell'esistenza, alla necessità degli altri.


Brené Brown, professoressa e ricercatrice presso l’Università di Houston, afferma che "la vulnerabilità è la culla dell’amore, dell’appartenenza, della gioia, del coraggio, dell’empatia e della creatività".


Che ci piaccia o no, che ci risulti semplice o meno accettarlo come soluzione, questo è il punto da cui dovremo ripartire. Sono convinta che avrà più forza di ricostruirsi chi sta usando questo tempo sospeso per riconoscere i propri punti deboli, le proprie insicurezze, i propri vuoti e la necessità dell'esistenza dell'altro, di cui riconosciamo anche i diritti, come co-costruttore di nuovi equilibri.


Essere moderni venne a significare, così come significa oggi, essere incapaci di fermarsi e ancor meno di restare fermi.”

A noi ora è stato invece imposto di farlo. Siamo davanti ai nostri limiti.

Raramente avremo ancora un'occasione tanto forte e destabilizzante e preziosa per guardare dentro a noi stessi. E restare.








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